Testo stabilito da Jacques-Alain Miller
edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia
Casa Editrice Giulio Einaudi, 2020
XI
Storia di Uni
È uno strano impiego del tempo, ma insomma, e perché no?, durante il week-end mi capita di scrivervi. È un modo di parlare. Scrivo perché so che ci vedremo in settimana. E cosí vi ho scritto anche l’ultimo week-end. Da allora ho avuto il tempo di dimenticare quella scrittura, e l’ho riletta poc’anzi durante il pranzo veloce che faccio per arrivare puntuale. Comincerò da lí. È un po’ difficile, ma potreste prendere degli appunti. Poi vi dirò quello che ho pensato dopo, pensando piú realmente a voi.
Avevo scritto una cosa – che di sicuro non consegnerò mai all’im- mondezzaio della pubblicazione, non vedo perché accrescere il contenuto delle biblioteche –, avevo scritto: Ci sono due orizzonti del significante. A seguire traccio una parentesi graffa. Siccome tutto questo è scritto, bisogna che facciate attenzione, che cioè non crediate di comprendere. Nella graffa c’è scritto il materno – che è il materiale – e poi c’è scritto il matematico.
Non posso mettermi a parlare subito, altrimenti non vi leggerei mai quello che ho scritto. Piú avanti dovrò forse ritornare su questa distinzione, di cui sottolineo che riguarda l’orizzonte.
Articolarli come tali, entro ciascuno dei due orizzonti, significa dunque procedere secondo questi stessi orizzonti, giacché la menzione del loro aldilà si sostiene soltanto in base alla loro posizione – quando tutto questo vi annoierà me lo direte, e vi racconterò le cose che devo raccontarvi questa sera – in un discorso di fatto. Per quanto riguarda il discorso analitico, tale di fatto mi coinvolge a tal punto in questi effetti da far dire che è un fatto mio e da designarlo con il mio nome.
L’amuro si ripercuote diversamente, con i mezzi di quello che per l’appunto si chiama il bordo, i mezzi che si hanno a bordo, i mezzi del bord-uomo. Il bord-uomo mi ha ispirato, l’ho scritto cosí: brum-brum-uap-uap. È la trovata di una persona che in tempi ormai lontani mi ha dato dei figli. È un’indicazione che concerne la voce, l’a-voce, che come tutti sanno abbaia, e anche l’a-sguardo, che non a-guarda tanto da vicino. E poi l’astuzia che fa l’a-t’succhia. E poi ancora l’a-merda, che di tanto in tanto fa graffiti di intendimenti piuttosto oltraggiosi nei miei confronti sulle pagine dei giornaloni. Per farla breve, questa è l’a-vita! E come si dice quando una persona si sta divertendo, allegria! È vero, insomma.
Questi effetti non hanno nulla a che vedere con la dimensione che si valuta a partire dal fatto mio, vale a dire che è di un discorso che non è il mio che io faccio la dimensione necessaria. Ovvero del discorso analitico, che non essendo ancora, e a ragion veduta, propriamente istituito, ha bisogno di qualche tracciato, ed è a questo che mi dedico. A partire da che cosa? Unicamente dal fatto che la mia posizione ne è determinata.
Adesso parliamo di questo discorso e del fatto che vi è essenziale la posizione come tale del significante. Vorrei comunque farvi notare, visto il genere di pubblico che costituite, che questa posizione del significante si delinea mediante un’esperienza che ciascuno di voi può fare.
Quando conoscete perfettamente una lingua e leggete un testo, voi comprendete, comprendete sempre. Ciò dovrebbe mettervi un po’ in guardia. Comprendete nel senso in cui sapete anticipatamente quel che vi è detto. Certo, il testo può contraddirsi. Quando leggete per esempio un testo sulla teoria degli insiemi, vi viene spiegato ciò che costituisce l’insieme infinito dei numeri interi. Poi, alla riga successiva, vi viene detto qualcosa che voi comprendete, perché proseguite la lettura: Non dovete credere che è infinito perché continua sempre. Ma siccome vi hanno appena spiegato che è proprio per questo che è infinito, sobbalzate. Poi però, guardando con piú attenzione, trovate il verbo to deem, il quale vi indica che non dovete giudicare su quella base, in quanto non è perché non si ferma mai, la serie dei numeri interi, che è infinita. Infinito è diverso da indefinito. Sia che abbiate saltato il termine deem, sia che abbiate poca familiarità con l’inglese, fatto sta che vi rendete conto di aver compreso troppo in fretta, vale a dire che avete saltato quell’elemento essenziale, un significante, che rende possibile il cambiamento di livello che vi ha dato per un attimo la percezione di una contraddizione.
Non bisogna mai saltare un significante. Voi comprendete fintantoché il significante non vi ferma. Ora, comprendere è sempre essere a propria volta compresi negli effetti del discorso, discorso che ordina gli effetti del sapere già precipitati semplicemente in virtú del formalismo del significante. La psicoanalisi ci insegna che ogni sapere ingenuo è associato a uno svergolamento del godimento che vi si realizza e pone la questione dei limiti della potenza che vi vengono rivelati, vale a dire del tracciato imposto al godimento.
Non appena parliamo, è un dato di fatto che presumiamo qualcosa di ciò che si parla. Questo qualcosa lo immaginiamo preposto, benché sia sicuro che lo presumiamo sempre a posteriori. Allo stato attuale delle nostre conoscenze è solamente dal fatto di parlare che ci si può rendere conto di come ciò che parla, qualunque cosa sia, sia ciò che gode di sé come corpo, ciò che gode di un corpo che esso vive – l’ho già enunciato – come qualcosa di tu-able, vale a dire come qualcosa a cui si può dare del tu, qualcosa che si può uccidere, gode insomma di un corpo a cui dà del tu e insieme dice ucciditi. La psicoanalisi che cos’è? È il reperimento di ciò che di oscurato si comprende, di ciò che si oscura nella comprensione, a causa di un significante che ha marchiato un punto del corpo.
Una psicoanalisi riproduce – qui ritrovate i soliti binari – una produzione della nevrosi. Su questo punto sono tutti d’accordo. Non c’è psicoanalista che non se ne sia accorto. Questa nevrosi, che non senza motivo viene attribuita all’azione dei genitori, è conseguibile soltanto nella misura in cui l’azione dei genitori viene articolata precisamente a partire dalla posizione dello psicoanalista. È nella misura in cui converge verso un significante che emerge da essa che la nevrosi si ordinerà conformemente al discorso i cui effetti hanno prodotto il soggetto. Ogni genitore traumatico si trova insomma nella stessa posizione dello psicoanalista. La differenza è che lo psicoanalista, dalla sua posizione, riproduce la nevrosi, mentre il genitore traumatico la produce in maniera innocente.
Questo significante si tratta di riprodurlo a partire da quella che è stata la sua efflorescenza. L’operazione del discorso analitico consiste insomma nel costruire un modello della nevrosi. A che pro? Lo fa nella misura in cui vi toglie la dose di godimento. Il godimento infatti esige il privilegio: per ognuno non ci sono due modi di averci a che fare. Ogni reduplicazione lo uccide. Sopravvive soltanto se la sua ripetizione è vana, cioè sempre la stessa. È l’introduzione del modello a dare il colpo di grazia a tale riproduzione vana. Una ripetizione ultimata lo dissolve essendo una ripetizione semplificata. […]
Dell’amore si parla nell’analisi. Se ne parla, beninteso, a causa della posizione dell’analista. Fatte le debite proporzioni, non se ne parla piú che altrove, poiché dopotutto è a questo che serve l’amore. Non è la cosa piú allegra che ci sia. Ma insomma, nella vita terrena se ne parla molto. È perfino portentoso che si continui a parlarne, perché ci si sarebbe potuti accorgere da molto tempo che non per questo riesce meglio. È dunque chiaro che parlando si fa l’amore. Qual è il ruolo dell’analista in questa faccenda? Un analista può veramente far riuscire un amore? Devo dirvi che per quanto mi riguarda – e non sono nato proprio ieri – è una scommessa.
Ho preso in analisi qualcuno di cui, grazie a Dio, sapevo che ne aveva bisogno, ma sulla base della domanda – vi rendete conto di quali porcherie posso fare per verificare le mie affermazioni! – per cui bisognava ad ogni costo arrivare al coniungo con la dama del suo cuore. Naturalmente l’impresa è andata a monte, grazie a Dio, in brevissimo tempo. Spero che la persona in questione non si trovi qui, ne sono quasi sicuro.
Tagliamo corto, perché questi sono solo aneddoti. Un giorno che sarò in vena e mi azzarderò a fare il La Bruyère, tratterò la questione dei rapporti fra l’amore e il sembiante. Ma questa sera non siamo qui per perdere tempo con queste sciocchezze. Si tratta invece di sapere che rapporto c’è fra tutte queste verità di esperienza che vi sto rievocando con un breve cenno e la funzione del sesso nella psicoanalisi.
4 maggio 1972