Testo stabilito da Jacques-Alain Miller
edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia
Casa Editrice Giulio Einaudi, 2020
VIII
Quanto all’Altro
Non avete nulla da perdere se rileggete la prefazione della Fenomenologia dello spirito in connessione con quanto vado avanzando qui. Ecco i compiti che vi do per le vacanze: il Parmenide e la Fenomenologia, almeno la prefazione, perché la Fenomenologia, naturalmente, non la leggerete mai. Ma la prefazione è davvero pregevole. Vale da sola la fatica di rileggerla, e vedrete come confermi quello che vi dico e come ne acquisisca senso. Non oso ancora promettervi che il Parmenide farà altrettanto, che acquisirà senso, tuttavia lo spero, perché la peculiarità di un discorso nuovo sta nel rinnovare ciò che si perde nel vortice dei discorsi antichi, e cioè precisamente il senso.
Se prima vi ho detto che c’è qualcosa che colora il discorso di Hegel è perché in questo caso il termine colore vuol dire qualcosa di diverso da senso. La promozione di quanto vado avanzando, per l’appunto, lo decolora e porta a compimento l’effetto del discorso di Marx. In questo discorso vorrei sottolineare qualcosa che costituisce il suo limite: esso comporta una protesta con cui finisce per consolidare il discorso del padrone completandolo, e non soltanto con il plusvalore, ma anche – sento che questo provocherà dei sussulti – incitando la donna a esistere come uguale.
Uguale a che cosa? Non lo sa nessuno. Cosí si può benissimo dire che l’uomo = zero, perché ha bisogno dell’esistenza di qualcosa che lo neghi per esistere come tutti.
In altre parole c’è confusione, qui, il che non è insolito dacché noi viviamo nella confusione, mentre si avrebbe torto a credere che viviamo di essa. Questo, infatti, non va da sé, non vedo perché la mancanza di confusione impedirebbe di vivere. È piuttosto curioso che ci si precipiti in essa, è proprio il caso di dirlo. Ci si lancia nella confusione. Quando emerge un discorso come il discorso analitico, esso vi propone di avere le spalle abbastanza solide da sostenere il complotto della verità.
Tutti sanno che i complotti hanno vita breve. È piú facile fare tante chiacchiere, finendo cosí per scoprire tutti i congiurati. Ci si confonde, ci si precipita nella negazione della differenza sessuale. Si pretende di cancellarla usando il segno uguale: la donna = l’uomo.
Quello che è formidabile, ve lo dirò, non sono tutte queste fesserie, è l’ostacolo che pretendono di trasgredire – parola grottesca. Ho insegnato cose che non avevano nessuna pretesa di trasgredire alcunché, bensí quella di circoscrivere un certo numero di punti nodali, punti di impossibile. Questo ha senza dubbio disturbato alcune persone che erano i rappresentanti, gli stanziali del discorso psicoanalitico in esercizio, i quali mi hanno sferrato un colpo tale da farmi perdere la voce.
Un colpo simile mi è arrivato fisicamente da un affascinante giovanotto. Mi ha fatto questo un giorno – che amore! e con quale zelo… – benché io fossi contemporaneamente sotto la minaccia di un aggeggio che non prendevo proprio sul serio, ma insomma facevo come se – una pistola. I tipi che mi hanno mozzato la voce a un certo momento, invece, non l’hanno fatto benché…, l’hanno fatto perché ero sotto la minaccia di uno schioppo, uno vero, non un giocattolo come quell’altra volta. Avrei dovuto sottomettermi all’esame, vale a dire allo standard, di persone che non volevano intendere nulla del discorso analitico, sebbene occupassero la posizione da stanziale. Che cosa potevo fare? Dal momento che non mi sottoponevo a quell’esame, ero condannato in partenza, il che rendeva naturalmente molto piú facile mozzarmi la voce, ah!
Perché una voce esiste. La cosa è andata avanti per parecchi anni. Devo dire che di voce ne avevo veramente poca. Tuttavia dalla mia voce sono nati i «Cahiers pour l’analyse», una pubblicazione veramente eccellente, ve la raccomando davvero. Devo dire che ero cosí completamente preso dalla mia voce, che questi «Cahiers pour l’analyse», insomma, non posso fare tutto, non posso leggere il Parmenide, rileggere la Fenomenologia, e altro ancora, e poi leggere anche i «Cahiers pour l’analyse». Dovevo riprendermi. Ora sono in forze e li ho letti da cima a fondo. Sono formidabili.
Sono formidabili ma marginali, perché non sono stati fatti da psicoanalisti. Nel frattempo gli psicoanalisti chiacchieravano. Non si è mai parlato tanto di trasgressione intorno a me come quando avevo la voce… puff! Ecco.
Figuratevi che la trasgressione non regge quando si tratta del vero impossibile, dell’impossibile che si dimostra, dell’impossibile cosí come si articola. Questo, naturalmente, richiede tempo. All’inizio ci sono stati i primi scarabocchi che hanno permesso la nascita di una logica con l’aiuto dell’interrogazione della lingua. Poi ci si è accorti che questi scarabocchi si imbattevano in qualcosa che esisteva, ma non nel modo in cui si era creduto fino a quel momento, non nel modo dell’essere, vale a dire di quello che ognuno di voi si crede. Ognuno crede di essere solo perché è un individuo. Ci si è accorti che c’erano delle cose che esistevano nel senso di costituire il limite di ciò che può assomigliare alla punta piú avanzata dell’articolazione di un discorso. È questo il reale. Il suo avvicinamento avviene passando per quello che chiamo il simbolico, vale a dire i modi di ciò che si enuncia attraverso il campo, campo che esiste, del linguaggio. Tale impossibile, nella misura in cui si dimostra, non si trasgredisce.
Ci sono delle cose a cui si fa riferimento da molto tempo – un riferimento mitico, forse, ma comunque perfetto –, non solo per quanto riguarda questo impossibile, ma anche per la sua motivazione, ossia che non si può scrivere il rapporto sessuale.
In questo genere di cose non è mai stato fatto niente di meglio… non dirò della religione, perché, come potrei spiegarvi diffusamente, quando si è psicoanalisti non si fa dell’etnologia, e annacquare la religione in un termine generico equivale a fare dell’etnologia. Non posso nemmeno dire che ce n’è una sola, c’è però quella in cui siamo immersi, la religione cristiana. Ebbene, credetemi, essa si concilia benissimo con le vostre trasgressioni. Anzi, esse sono tutto quello che si augura, quello che la consolida. Piú trasgressioni ci sono e piú le fa comodo.
È questo il punto. Si tratta di dimostrare dove sta il vero di ciò che tiene in piedi un certo numero di discorsi che vi impegolano.
Oggi terminerò – spero di non avere rovinato il mio anello colpendo il tavolo – sullo stesso punto con cui ho iniziato. Sono partito dall’Altro, ma non ne sono venuto fuori, perché il tempo passa e non bisogna credere che nel momento in cui la seduta finisce io non ne abbia fin sopra i capelli.
Concluderò dunque quanto ho detto di molto circoscritto a proposito dell’Altro tralasciando ciò che può concernere quello che devo presentarvi come il punto che fa da perno, il punto a cui miro quest’anno, ossia l’Uno.
Non è un caso che io non l’abbia affrontato oggi. Non c’è nulla che sia altrettanto scivoloso di questo Uno. È davvero bizzarro. Se c’è una cosa che ha delle facce tali da farsi, non già innumerevoli, ma singolarmente divergenti, questo è proprio l’Uno.
Non è un caso se è anzitutto necessario che io mi appoggi all’Altro. L’Altro – cercate di intenderlo bene – è dunque un fra, il fra di cui si tratterebbe nel rapporto sessuale, e però spostato, proprio per il fatto di Altreporsi. È curioso che, ponendo questo Altro, ciò che avevo da avanzare oggi concerna soltanto la donna. È in effetti lei che di questa figura dell’Altro ci fornisce un’illustrazione alla nostra portata, trovandosi, come ha scritto un poeta, fra centro e assenza.
Che cosa diventa per la donna questa seconda barra che ho potuto scrivere soltanto definendola come non-tutta? Ella non è contenuta nella funzione fallica, senza per altro esserne la negazione. Il suo modo di presenza è fra centro e assenza. Centro è la funzione fallica di cui partecipa singolarmente, in quanto l’almeno uno che è il suo partner nell’amore vi rinuncia per lei, quell’almeno uno che ella trova soltanto allo stato di non essere altro che pura esistenza. Assenza è ciò che le permette di lasciare ciò per cui non partecipa della funzione fallica nell’assenza che è nondimeno godimento, essendo godiassenza.
Credo che nessuno dirà che quanto enuncio della funzione fallica è indicativo di un disconoscimento del godimento femminile. Che l’almeno uno abbia urgenza di abitare la godipresenza, se posso esprimermi cosí, della donna in quella parte che non la rende completamente aperta alla funzione fallica costituisce un controsenso radicale rispetto a ciò che la sua esistenza esige. È a motivo di questo controsenso che egli non può nemmeno piú esistere, che è esclusa anche l’eccezione della sua esistenza, e che svanisce quello statuto dell’Altro costituito dal non essere universale. Ne è conseguenza necessaria il disconoscimento dell’uomo, il che costituisce la definizione dell’isterica.
8 marzo 1972