Il Seminario. Libro XIX. ... o peggio

Testo stabilito da Jacques-Alain Miller
edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia
Casa Editrice Giulio Einaudi, 2020

II

La funzione Φx

 

Finché siamo ancora in tempo mi piacerebbe che leggeste la Metafisica di Aristotele, un’ottima introduzione a qualcosa di essenziale.

Quando arriverò a questo qualcosa di essenziale, forse all’inizio di marzo, bisognerebbe che l’aveste già letta con attenzione, al fine di cogliere il suo rapporto con le nostre faccende. Naturalmente non vi parlerò della Metafisica. Ma non perché non ammiri la fesseria. Dirò anzi che mi prosterno.

Voi, invece, non vi prosternate. Siete degli elettori consapevoli

e organizzati. Non votate per dei fessi. È precisamente questa la vostra rovina. Un sistema politico felice deve permettere alla fesseria di avere il suo spazio. E d’altronde le cose vanno bene soltanto quando è la fesseria a regnare. Detto questo, non è però una buona ragione per prosternarsi.

Dunque, il testo che prenderò in considerazione è un exploit, un exploit come tanti altri che non sono stati ancora, se posso dire così, sfruttati. Si tratta del Parmenide di Platone, che ci sarà molto utile. Ma per capire bene il rilievo di questo testo che non è fesso, bisogna avere letto la Metafisica di Aristotele.

Quando consiglio di leggere la Critica della ragion pratica come un romanzo, come qualcosa che è ricco di umorismo, non so se qualcuno abbia mai seguito questo consiglio e sia riuscito a leggerla come ho fatto io. O perlomeno, nessuno me l’ha mai confidato. Quell’invito si trova da qualche parte nel mio Kant con Sade, di cui non so assolutamente se qualcuno l’abbia letto. Allora, farò nello stesso modo, vi dirò: leggete la Metafisica di Aristotele, e spero che come me sentirete che è maledettamente fessa. Non vorrei dilungarmi a questo proposito, anche se mi viene da fare qualche piccola osservazione a margine. Ma quel carattere di fesseria non può non colpire quando si legge il testo.

Non si tratta della Metafisica di Aristotele nella sua essenza, nel significato, in tutto quello che vi hanno spiegato a partire da questo testo magnifico, vale a dire in tutto quello che ha costituito la metafisica per quella parte del mondo in cui ci troviamo. Perché tutto è partito da lì. È qualcosa di assolutamente fantastico. Si parla della fine della metafisica – in nome di che cosa? Finché ci sarà questo libro si potrà sempre farne.

Questo libro, perché si tratta di un libro, è molto diverso dalla metafisica. È di un libro scritto che parlavo prima. Gli è stato attribuito un senso cui si dà il nome di metafisica, ma bisogna ben distinguere tra il senso e il libro. Naturalmente, dopo che gli si è attribuito tutto questo senso, non è facile ritrovare il libro. Se lo ritrovate veramente, coglierete ciò che hanno comunque colto alcune persone munite di una disciplina chiamata metodo storico, critico, esegetico e chi più ne ha più ne metta. Costoro sono capaci di leggere il testo in un certo modo che svicola dal senso. Quando si guarda il testo, è evidente che vengono dei dubbi.

Questo ostacolo costituito da tutto ciò che se ne è compreso può esistere soltanto a livello universitario, e l’università non esiste da sempre. Ma insomma, fin dall’antichità, tre o quattro secoli dopo Aristotele, si è cominciato a sollevare i dubbi più seri su questo testo perché si sapeva ancora leggere. Si sono espressi dei dubbi, è stato detto che si trattava di una serie di note, oppure che era opera di un allievo che ha assembrato dei brani. Devo dire che non ne sono pienamente convinto. Forse perché ho appena letto un libro di un certo Michelet, non il nostro, il nostro poeta – con questo intendo dire che lo colloco molto in alto, il nostro –, bensì un professore dell’università di Berlino che si chiama anche lui Michelet, Karl Ludwig. Costui ha scritto un libro sulla Metafisica di Aristotele, pubblicato nel 1836, e precisamente su questo punto, perché il metodo storico allora in auge l’aveva un po’ indispettito per i dubbi espressi – non senza fondamento visto che risalgono all’antichità. Devo dire che Michelet non condivide quel parere, e nemmeno io.

In effetti – come dire? – la fesseria costituisce una prova dell’autenticità. A dominare è l’autenticità della fesseria. Probabilmente il nostro termine authentique è sempre un po’ complicato dalle risonanze dell’etimologia greca. Ci sono lingue dove è rappresentato meglio, da echt, con cui si forma un nome che dovrebbe essere Echtheit. Non ha importanza. In ogni caso non c’è nulla di più autentico della fesseria. E allora può darsi che quell’autenticità non sia l’autenticità di Aristotele, ma la Metafisica, intendo il testo, è autentica. Non può essere un insieme di pezzi o brani, perché è sempre all’altezza della fesseria.

Che cosa giustifica una simile denominazione? Si entra nella fesseria quando si pongono le questioni a un certo livello che è determinato precisamente a causa del linguaggio, ossia quando ci si avvicina alla sua funzione essenziale che consiste nel riempire tutto ciò che rimane beante per il fatto che non può esserci rapporto sessuale, il che vuol dire che nessuno scritto in quanto prodotto del linguaggio può renderne conto in modo soddisfacente.

Certo, da quando abbiamo visto i gameti possiamo scrivere alla lavagna uomo = portatore di spermatozoi. È una definizione un po’ curiosa, perché tra gli animali non è l’unico dotato di spermatozoi. Cominciamo allora a parlare di biologia. Perché gli spermatozoi dell’uomo sono per l’appunto quelli portati dall’uomo? Perché sono gli spermatozoi dell’uomo a fare l’uomo. Stiamo girando in tondo? Non importa, è qualcosa che si può scrivere.

Solo che non ha nessun rapporto con qualunque cosa si possa scrivere, per dir così, di sensato, che abbia cioè una relazione con il reale. Non è perché è biologico che è più reale. È frutto della scienza chiamata biologia. Il reale è un’altra cosa.

Il reale è ciò che domina tutta la funzione della significanza. Il reale è ciò che incontrate proprio per il fatto di non poter scrivere una qualsiasi cosa in matematica. Il reale è ciò che concerne il fatto che, in quella che è la funzione più comune, siete immersi nella significanza e però non potete afferrare tutti i significanti contemporaneamente. È interdetto dalla loro struttura.

 

15 dicembre 1971