Il Seminario. Libro XIX. ... o peggio

Testo stabilito da Jacques-Alain Miller
edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia
Casa Editrice Giulio Einaudi, 2020

III

Dall’aneddoto alla logica

 

Se nella logica trovassimo modo di articolare i valori sessuali dimostrati dall’inconscio non ne saremmo sorpresi.

Voglio dire che non ne saremmo sorpresi qui, al mio seminario, a filo dell’esperienza istituita da Freud, l’analisi, con la quale si instaura una struttura di discorso che ho definito.

Riprendiamo quello che ho detto nella densità della mia prima frase.

Ho parlato di valori sessuali. Farò notare che questi valori sono valori acquisiti – acquisiti in ogni linguaggio. L’uomo, la donna, sono loro che chiamiamo valori sessuali. Che all’inizio ci siano l’uomo e la donna è anzitutto una faccenda di linguaggio. Ecco la tesi da cui parto oggi.

Il linguaggio è tale che, per ogni soggetto parlante, o è lui o è lei. È così in tutte le lingue del mondo. È il principio del funzionamento del genere, femminile o maschile. Che ci sia l’ermafrodito sarà unicamente un’occasione per scherzare, con più o meno umorismo, facendo intervenire nella stessa frase il lui e il lei. Mai lo si chiamerà ’sta cosa, salvo manifestare in tal modo una sorta di sacro orrore. Non si userà il neutro.

Detto questo, noi non sappiamo che cosa siano l’uomo e la donna. Per un certo tempo si è ritenuto che questa bipolarità di valori supportasse sufficientemente, anzi suturasse, quello che è il sesso. È da lì che è derivata la sorda metafora sottesa per secoli alla teoria della conoscenza. Come ho fatto notare altrove, il mondo era ciò che veniva colto e addirittura percepito nel posto dell’altro valore sessuale. Il νους, il potere di conoscere, era situato dalla parte positiva, dalla parte attiva di ciò che indagherò oggi chiedendo quale sia il suo rapporto con l’Uno.

Ogni volta che affrontiamo da vicino l’approccio sessuale il passo che ci ha fatto fare l’analisi ci rivela la deviazione, la barriera, lo zigzag, la strettoia della castrazione. È qualcosa che può essere articolato soltanto a partire dal discorso analitico di cui ho dato la struttura, il che ci induce a pensare che la castrazione non possa in nessun caso essere ridotta all’aneddoto, all’accidente, all’intervento maldestro di un proposito di minaccia o di censura. La struttura è logica.

Qual è l’oggetto della logica?

Se mai avete anche solo aperto un trattato di logica, sapete per esperienza quanto il primo tempo di ogni trattato che rientri in questo ordine possa essere labile, incerto, evasivo. È forse l’arte di condurre bene il proprio pensiero? Ma di condurlo dove? E tenendolo per quale capo? O ancora, occorre forse fare ricorso a una normalità con cui si definirebbe il razionale indipendentemente dal reale? Ciò che viene sviluppato in un libro così intitolato dopo simili tentativi di definire l’oggetto della logica è invece di un altro ordine e di un’altra consistenza. Potrei dunque molto semplicemente lasciare qui uno spazio bianco, tuttavia non lo faccio, e propongo di definire l’oggetto della logica come ciò che si produce per la necessità di un discorso.

È senza dubbio una definizione ambigua, ma non è idiota, in quanto comporta l’implicazione per cui la logica può cambiare completamente senso a seconda di dove prende il proprio senso ogni discorso. Ora, ogni discorso prende il proprio senso a partire da un altro discorso. […]

Il reale può definirsi come l’impossibile nella misura in cui viene attestato proprio a partire dalla presa del discorso della logica. Questo impossibile, questo reale, dev’essere da noi privilegiato. Da noi chi? Dagli analisti, perché è il paradigma di ciò che mette in discussione quanto può scaturire dal linguaggio. Dal linguaggio scaturiscono certi tipi di discorso che ho definito dicendo che instaurano ciascuno un determinato tipo di legame sociale. Tuttavia, quando si interroga il linguaggio sul discorso che fonda, è sorprendente che non lo si possa fare se non fomentando l’ombra di un linguaggio che supererebbe se stesso, che sarebbe metalinguaggio, e, come ho fatto notare più volte, può essere tale soltanto riducendosi nella sua funzione, e cioè generando un discorso già particolareggiato. Nel reale che si impone a partire dall’interrogazione logica del linguaggio propongo di trovare il modello di ciò che ci interessa, vale a dire di ciò che palesa l’esplorazione dell’inconscio.

Ciò che l’esplorazione dell’inconscio palesa è ben lontano dall’essere un simbolismo sessuale universale, come ha ritenuto di poter riprendere per esempio Jung rientrando nella carreggiata più antica. È invece, molto precisamente, quello che ho poc’anzi ricordato della castrazione, sottolineando soltanto che è da esigere che non venga ridotta all’aneddoto di una parola udita. Altrimenti, perché mai isolarla e conferirle la prerogativa di non so quale traumatismo, nonché efficacia di falla beante? È fin troppo evidente che essa non ha niente di aneddotico, che è rigorosamente fondamentale in ciò che, lungi dall’instaurarlo, rende impossibile l’enunciato della bipolarità sessuale come tale. […]

Sono le due e sedici e per oggi non andrò più avanti. L’interruzione avviene in un punto dov’è tutt’altro che auspicabile.

Penso di avere avanzato l’introduzione del funzionamento di questi termini quanto basta per farvi intendere che l’uso della logica non è senza rapporto con il contenuto dell’inconscio. Non è sufficiente che Freud abbia detto che l’inconscio non conosce la contraddizione perché esso non sia una terra promessa alla conquista della logica. Siamo forse arrivati in questo secolo senza sapere che una logica può benissimo fare a meno del principio di contraddizione?

Quanto al dire che in tutto quello che Freud ha scritto sull’inconscio la logica non esiste, che l’inconscio non è esplorabile attraverso le vie di una logica, bisogna non avere mai letto l’uso che egli ha fatto di questo o quel termine, per esempio: io amo lei, non è lui che io amo, e di tutti i modi esistenti di negare io amo lui seguendo le vie grammaticali.

12 gennaio