Testo stabilito da Jacques-Alain Miller
edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia
Casa Editrice Giulio Einaudi, 2020
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Cèd’luno
Forse che le vostre orecchie non hanno colto che sto parlando dell’Uno come di un reale, e di un reale che può anche non avere nulla a che fare con una qualche realtà?
Chiamo realtà quella che è la realtà, e cioè per esempio l’esistenza che vi è propria, la vostra modalità di sostegno che è certamente materiale, in primo luogo perché corporea. Ma si tratta di sapere di che cosa si parli quando si dice Cèd’luno sulla via in cui si impegna la scienza. Per quanto riguarda la sua grande svolta, la svolta galileiana per chiamarla con il suo nome, la scienza ha fatto indiscutibilmente affidamento sul numero come tale, sull’Uno che possiamo qualificare come individuale e su quanto si enuncia nel registro della logica del numero. Da tale prospettiva scientifica non c’è veramente ragione di interrogarsi sull’esistenza, sul sostegno logico che si può dare a un liocorno, in quanto non c’è animale concepito in modo piú appropriato del liocorno stesso. È esattamente in questa prospettiva che possiamo cogliere quella che chiamiamo realtà, la realtà naturale, a livello di un certo discorso. E io non esito ad affermare che questo discorso è il discorso analitico. La realtà possiamo sempre coglierla a livello del fantasma.
Quanto al reale di cui sto parlando, ebbene, il discorso analitico è fatto per ricordarci che il suo accesso è il simbolico. Al suddetto reale accediamo soltanto in e attraverso quell’impossibile che è definito unicamente dal simbolico. Lo riprendo a livello della Storia naturale di un certo Plinio: non vedo la differenza tra il liocorno e qualsiasi altro animale perfettamente esistente nell’ordine naturale. La prospettiva che interroga il reale in una certa direzione esige che enunciamo le cose in questo modo.
Tuttavia non vi sto affatto parlando di qualcosa che assomigli a un progresso. Ciò che guadagniamo sul piano scientifico, che è incontestabile, non accresce assolutamente il nostro senso critico, per esempio in materia di vita politica. Ho sempre sottolineato che ciò che guadagniamo da una parte va perduto dall’altra, in quanto c’è una certa limitazione inerente a quello che possiamo chiamare il campo dell’adeguamento nell’essere parlante.
I progressi che abbiamo fatto dopo Plinio in biologia, relativamente alla vita, non costituiscono un progresso assoluto. Se un cittadino romano vedesse come viviamo noi – purtroppo è escluso che lo evochiamo di persona in questa circostanza –, sarebbe probabilmente sconvolto dall’orrore. Visto che possiamo formulare una simile ipotesi solo sulla base dei ruderi lasciati da quella civiltà, possiamo avere un’idea del progresso immaginando quelli che saranno i resti della nostra dopo un periodo di tempo equivalente, sempre che sia supponibile. Dico questo perché non vi illudiate che io confidi in particolar modo nella scienza. Il discorso analitico non è un discorso scientifico, ma un discorso di cui la scienza ci fornisce il materiale – il che è ben diverso.
Insomma, la presa dell’essere parlante sul mondo in cui ritiene di essere immerso – uno schema che tradisce già il suo fantasma, vero? – non va comunque aumentando. Questo è sicuro. Tale presa aumenta soltanto nella misura in cui si elabora l’uso del numero. E io pretendo di mostrarvi qui che questo numero si riduce semplicemente al Cèd’luno.
Allora, dobbiamo vedere che cosa, storicamente, ci consente di sapere su questo Cèd’luno un po’ di piú di quello che ne fa Platone appiattendolo al livello dell’Essere.
È evidente che questo dialogo è straordinariamente suggestivo e fecondo, e se vorrete considerarlo da vicino vi troverete già prefigurato come io possa, sul tema della teoria degli insiemi, enunciare Cèd’luno.
19 aprile 1972